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Valle Reale : vini dell’Abruzzo di Montagna

(Visita maggio 2017)

Entusiasmo, trasporto, energia, sono queste le emozioni che suscita Leonardo Pizzolo quando parla della sua storia e della sua azienda vinicola, Valle Reale. 

Siamo nella Valle Peligna, alle porte di Popoli, unico punto di passaggio tra la Majella e il Gran Sasso, a meno che non si voglia scalare le montagne per oltrepassarle.

Luogo incontaminato, circondato da boschi di Riserve Naturali, corsi d’acqua cristallini, è qui che imbottigliano la Gran Guizza e vivono le ultime specie rimaste di Orso Bruno Marsicano, distese di prati in cui si ergono a protagonisti tarassaco, artemisia e finocchietto selvatico.

Leonardo ama il suo lavoro, rischi di ammirarlo a bocca aperta mentre sottolinea la difficoltà della viticoltura in un territorio spesso ostile, una delle poche aziende, anzi l’unica in regione che si trova dietro alle due grandi Montagne Abruzzesi, non beneficiando così dell’aria calda marina che proviene dalla piana di Pescara, spirando dall’Adriatico. Una zona dove le gelate tardo primaverili sono all’ordine del giorno, dove il terreno molto drenante soffre spesso la siccità se la piovosità non è distribuita uniforme nell’anno. Un luogo con cui si deve spesso fare i conti con varie specie animali che si cibano dei grappoli maturi. Terra per duri, per testardi, per innamorati del proprio lavoro, proprio l’identikit di Leonardo Pizzolo. 

Lui veneto, con la passione per il vino trasmessa dallo zio imbottigliatore, arriva in questo territorio nel 1999, grazie all’attività di famiglia a Popoli, e se ne innamora. Decide di trasferirsi definitivamente in Abruzzo e inizia il restauro delle proprietà familiari, una colonica tra i vigneti e recupera le vecchie pergole di trebbiano e montepulciano. I primi anni sono quelli della viticoltura convenzionale, corretta, da manuale, con i lieviti selezionati. I vini prodotti non hanno difetti, sono anche buoni secondo il successo sul mercato ma non convincono Leonardo. Il gusto è troppo standardizzato, mancano di tipicità, non riflettono l’Abruzzo di montagna, in cui i vigneti sono immersi. I lieviti selezionati usati donano fragranze di frutta tropicale matura, che si può ritrovare in un bianco della Valle d’Aosta come della Sicilia. Leonardo non ci sta e inizia a viaggiare, l’intuito lo porta in Borgogna, dove tra l’altro incontra un giovane enologo francese che tuttora cura il lavoro in cantina di Valle Reale, Emmanuel Merlo. In questa magica terra, soprattutto grazie a Roulot, impara un altro modo di fare vino, quello che prevede la fermentazione spontanea, i lieviti indigeni, la piede de cuve. Torna in Abruzzo e rivoluziona tutto, il suo Trebbiano doveva essere alfiere di quei luoghi. I primi esperimenti non furono incoraggianti, fermentazioni lentissime che stentavano a iniziare, che spesso si interrompevano. D’altra parte la Natura non si comanda con un telecomando, oggi convenzionale, domani naturale, occorre tempo, pazienza, tutti gli elementi devono entrare in simbiosi, passo dopo passo. Così nel 2007 il primo esperimento compiuto, dal trebbiano della vigna di Capestrano, il primo vino a fermentazione spontanea. Lo assaggia, rimane interdetto, è una limonata, un’acidità sferzante, si demoralizza, crede che in quella zona non riuscirà mai a creare ciò che ha in mente. Fortuna volle che a non molta distanza da lui, dimori un faro per l’enologia regionale e italiana tutta, quel Francesco Paolo Valentini che ha elevato il Trebbiano nell’Olimpo enoico. Leonardo decide di portarglielo ad assaggiare per un parere, la risposta è sorprendente, quel vino è buono, ha potenzialità ma ha bisogno di tempo per equilibrarsi, per smussare gli angoli delle durezze. Rinfrancato, capisce che la strada percorsa è giusta, si migliora, si perfeziona e anno dopo anno i suoi Trebbiano, dai vari cru, Popoli, Capestrano e Vigna del Convento sono sempre più portabandiera di quei luoghi incontaminati. 

Successivamente anche il Montepulciano segue la stessa strada, con i cru San Calisto e Sant’Eusanio.

Difficile inquadrare la viticoltura di Leonardo Pizzolo con un solo termine, biologica? Biodinamica? Ecosostenibile? Direi che è un fine osservatore della natura, un uomo intelligente, rispettoso dell’ambiente tanto da essere in prima fila nel movimento “no gasdotto Snam”, un mostro che rischierebbe di stravolgere l’ecosistema intatto di questa valle. Così meticoloso nel registrare gli eventi climatici e metereologici che tiene, a mano, un diario delle annate, con tanto di fotografie, in cui annota gli eventi registrati, come gelate, grandinate, siccità e i rimedi messi in atto. E’ convinto che quel diario servirà un giorno al figlio, oggi neonato, quando anche lui farà il viticoltore. Commovente. 

E’ grazie a personaggi come Leonardo se mi sono immerso nel mondo del vino, che fanno dell’enologia rispettosa uno stile di vita, una missione, non necessariamente inquinata da esclusive logiche di mercato.

Le difficoltà che incontra ogni stagione sono innumerevoli, la più provante è sicuramente rappresentata dalle gelate tardo-primaverili, tipiche di questa zona montana, in cui la notte, anche a fine maggio, la temperatura può avvicinarsi pericolosamente allo zero. Ha perfino acquistato le famose stufe borgognone, anche se per adesso non le ha mai usate ma afferma che in realtà, il mezzo migliore per combattere le gelate è rappresentato dall’alta pergola abruzzese, visto che il freddo si concentra in basso, risparmiando le gemme che si trovano anche oltre due metri di altezza. Non è un caso che i frati del Convento che sorgeva ove oggi c’è Valle Reale, usassero questo sistema, che evita tra l’altro che cinghiali e leprotti si nutrano dei grappoli maturi, “osservare” è ancora una volta il motto su cui Leonardo invita a riflettere.

Anche la siccità rappresenta una difficoltà non da poco, vista la tessitura del terreno, molto drenante, pochissima argilla e molta sabbia, Valle Reale avrebbe bisogno di piogge lievi ma costanti anziché sporadiche piogge abbondanti, come invece sta accadendo sempre più nelle recenti stagioni estive.

Vini prodotti con questi valori e con questi sforzi hanno certamente un valore aggiunto.

Veniamo alle note di degustazione, iniziando con il Trebbiano e proseguendo con il Montepulciano, come detto, tutti a fermentazione spontanea con lieviti indigeni:

  • Trebbiano d’Abruzzo doc Vigneto di Popoli 2015. Questa è una delle vigne storiche della proprietà, in cui è presente un rudere di una grotta-cantina, risalente al 1300 circa. Qui i monaci benedettini, scendendo dal Convento sito a San Benedetto in Perillis, minuscolo paesino aggrappato ai monti alle spalle di Valle Reale, vinificavano e conservavano il loro vino. L’allevamento è a spalliera. E’ questo il cru da cui provengono i Trebbiano più tesi e agrumati. Solo acciaio. Il 2015, appena velato non essendo filtrato, al naso offre lime e note verdi di finocchietto selvatico, artemisia, nepitella, erbe officinali, in un susseguirsi di grande finezza. Al palato è affilato, interminabile nel suo finale di mandarino fresco e salvia. Ha ancora con una vita davanti per smussare la grande energia acida.
  • Trebbiano d’Abruzzo doc Vigna del Convento di Capestrano. L’ultimo cru nato in ordine temporale, nel comune di Capestrano, più alto di quello di Popoli ma anche con temperature più elevate, vicino infatti alla piana di Ofena il “forno d’Abruzzo”, 4,5 ettari di trebbiano a guyot. Anche questo vino affina soltanto in acciaio. Da questa porzione derivano i Trebbiano con più frutto, più rotondi ma sempre con l’inconfondibile timbro territoriale del floreale in cui sono immersi i filari. Leggera velatura, olfatto caratterizzato da pera e pesca bianca con sfumature di elicriso, fiori di campo, ginestra e acacia. Il sorso è guidato da una sapidità bilanciata che gioca a rincorrersi con la freschezza in una misura alcolica da manuale. Anche in questo vino le prospettive di evoluzione sono lunghissime.
  • Montepulciano d’Abruzzo doc San Calisto 2012. E’ il vigneto in cui ci si imbatte non appena arrivati in azienda, quello storico, originario, a pergola abruzzese. Piante antiche, dalle gemme di queste è nato, tramite innesto, il vigneto di Popoli. Colore rubino lucente che mantiene ancora riflessi vivi di gioventù.  Si apre su nuance fruttate scure di more e mirtilli per poi virare su note territoriali di lavanda, balsamiche. Speziatura elegantissima di pepe verde, cannella appena sfumata . All’assaggio mostra una tannicità senza spigoli, avvolgente, morbida, quasi setosa. In bocca il vino si muove leggero, snello e piacevole con coerenti ritorni di frutto di bosco. Matura in vecchie botti da 25 ettolitri. Difficile trovare un Montepulciano d’Abruzzo con tale facilità di beva, evidentemente il pedoclima montano fa la sua parte.
  • Montepulciano d’Abruzzo doc Vigneto di Sant’Eusanio 2015. Ecco il cru che mi ha stregato, colpisce già la sua collocazione, dalla sede aziendale si alza lo sguardo a nord e si nota un fazzoletto di vigna circondato da un bosco di pini, su tutti e quattro i lati, terreno pieno di ciottoli. Vigneto alto, quasi 500 metri slm, temperature ancora più rigide che a Popoli, escursioni termiche giorno-notte incredibili, anche di 30 gradi in primavera/estate. Ne deriva un Montepulciano senza compromessi, lontano dalla tradizione abruzzese di questo vitigno, che strizza spesso l’occhio alla nota dolce del frutto scuro. Il Vigneto di Sant’Eusanio è snello già dal colore, rubino trasparente, un naso variegato che ammalia, di radici, pellame, erica, mirtillo rosso. Il sorso è tagliente, un acidità vibrante di un frutto di bosco non ancora maturo, di visciola croccante. Gusto succoso, con tannino quasi impercettibile, giochi di beva impressionanti. Chiudi gli occhi e sembra un pinot nero di Beaune. Da provare anche a 12 gradi in un’afosa serata estiva con un guazzetto di triglie al pomodoro. Ovviamente non viene prodotto ogni annata perché il problema della maturità fenolica, in questo vigneto, non è superfluo. Matura solo in acciaio.

Sono certo che il futuro riserverà altre sorprese, Leonardo è un vulcano mai sopito, in cantina riposano vari esperimenti, tra cui un trebbiano vinificato secondo i dettami borgognoni, in barrique con bâtonnage e che ho avuto il privilegio di assaggiare rimanendo letteralmente sbalordito dalla bontà. Per adesso se lo gusta privatamente ma non è lontano il giorno in cui sarà sugli scaffali delle enoteche.

Auspichiamo che la DOC Trebbiano d’Abruzzo si rinnovi, si adegui e valorizzi le varie sotto-zone che inevitabilmente ci sono in una denominazione che investe una regione intera. Viticoltori come Leonardo Pizzolo devono essere salvaguardati, sono paladini e difensori di territori di una bellezza mozzafiato, incontaminati, da preservare. In attesa che qualcosa si muova, noi continueremo a godere dell’eleganza e finezza dei vini abruzzesi di montagna di Valle Reale.

 

Valentino Tesi

(dicembre 2022)

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