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Pomino Bianco Riserva Benefizio, la lungimiranza di Vittorio degli Albizzi

Dal fiume Sieve ove sbocca il fiume Arno; quindi prendendo il corso d’Arno all’insù…così recita il famoso Bando del 1716 di Cosimo III de’ Medici, Granduca di Toscana, a proposito della definizione dei confini del territorio vitivinicolo di Pomino. Fatto che lo rende insieme a Chianti Classico, Carmignano e Val d’Arno di Sopra, la denominazione più antica del mondo.
La doc Pomino ricade in una porzione del comune fiorentino di Rufina, in un territorio pedemontano nel medio versante della Valle della Sieve.
Un’area di luce e mineralità, ricca di boschi, con viti che si arrampicano dai 300 fino a un’altitudine di 700 metri, circondata da sequoie, abeti e castagni.

Vigneti Castello di Pomino

Così ne scriveva nel XVII secolo il poeta Francesco Redi, nel ditirambo Bacco in Toscana, rimarcandone la qualità superiore:
Quel gran vino/
di Pumino/
sente un po’ dell’affricogno;/
Tuttavia di mezzo agosto
/io ne voglio sempre accosto.

Il vino di Pomino, allora previsto solo nella versione rossa, è legato ad un personaggio che rappresenta una svolta per la viticoltura toscana: Vittorio degli Albizzi. Grande conoscitore della Francia affiancò tante varietà d’oltralpe alle tipiche uve autoctone locali. Nel 1878 vinse il primo premio all’esposizione internazionale di Parigi con lo “Chablis di Pomino”, intuendo che si potevano produrre anche grandi vini bianchi, un’assoluta novità per l’ambiente agrario pominese.
Il Disciplinare oggi prevede molte versioni: Rosso, Bianco, alcuni varietali, Vendemmia Tardiva, Vin Santo e Spumante.

All’interno della denominazione esiste un vino che rappresenta un faro enoico, il Pomino Bianco Riserva Benefizio dei Marchesi Frescobaldi, uno Chardonnay, piantato già nel 1855 a 700 metri d’altitudine e primo vino bianco in Italia fermentato e maturato in barrique.
Ha ampiezza fruttata di pera Kaiser, pesca e mela Golden, uno spunto floreale nel mughetto e una vaniglina che sembra d’una naturalità vegetale. Sorseggiandolo si resta attratti dalla massa morbida, dalla sapidità salmastrata e dal finale di bocca in cui torna la bizzosa acidità dello chardonnay. Abbinamento con un coniglio arrosto in porchetta.

Voto: buono (8).

Valentino Tesi

 

Articolo pubblicato su Il Tirreno 16/3/2023

 

 

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